I profughi Siriani in Libano e un giovane fotografo Italiano: Intervista a Jean-Claude Chincherè.

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Da vecchio appassionato di fotografia, fotografo, e scribacchino, mi è capitato molto spesso di scrivere di cose che hanno a che fare con diaframmi e tempi, ottiche e stampe fine art.

Ho avuto anche la fortuna di conoscere e incontrare fotografi come Ferdinando Scianna, Jeanloup Sieff e tanti altri sia famosi che no.
Molti, anche di questi ultimi sono riusciti a regalarmi emozioni, riuscendo a catturare la mia attenzione, il mio interesse.

Questa intervista è il frutto di  uno di questi fortuiti incontri con una nuova emozione…  che nasce da l’aver scoperto un immagine, un autore.

Jean-Claude Chincherè è un giovane fotografo Valdostano, che ha pubblicato in rete alcune immagini scattate in Libano a gruppi di profughi Siriani.

La cosa che mi ha colpito in queste immagini è l’assoluta mancanza di peso. La completa leggerezza con cui Jean-Claude veicola la sua visione.

Le sue foto esorcizzano il dramma dei profughi Siriani, attraverso il sorriso dei Bambini. Da speranza all’umanità. Offre una possibilità di salvezza: non compassione per qualcosa che sta finendo, ma azione nei confronti di chi sta crescendo, in quel contesto drammatico, ma con ancora la voglia di giocare.

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Jean-Claude  Da dove arriva questa tua grande passione per la fotografia e per il reportage in particolare?

– La mia passione per la fotografia nasce alla scuola superiore, precisamente al Liceo Artistico di Aosta. Da subito rimasto particolarmente affascinato dalla fotografia di reportage e quella documentaristica più in generale. Ho letto moltissimo e visitato decine e decine di mostre in questi anni, il contatto con altri fotografi e lo scambio reciproco sono alla base di questo mestiere. L’interesse e la curiosità per il mondo e per le cose traspare dagli scatti di ogni singolo autore. Non si può far finta di non accorgersi di quello che accade intorno a noi se si vuole essere dei buoni fotografi.

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Raccontami della tua esperienza fotografica e umana in Libano.
– Per la mia tesi di laurea all’Accademia di Belle Arti di Torino, ho deciso di realizzare un reportage sui rifugiati siriani in Libano. Questo mi ha portato a vivere per 40 giorni a Beirut durante l’estate e recentemente sono tornato per una ventina di giorni visitando la parte meridionale del Paese dei cedri. A livello Accademico sono stato riconosciuto per il mio lavoro con il massimo dei voti e un grandissimo interesse da tutto il corpo docenti. Questo lavoro mi ha portato anche una menzione d’onore al MIFA 2015 (Moscow International Fotoawards). Sto preparando in questo momento due grandi mostre che raccolgano i miei scatti, nelle prossime settimane si sapranno maggiori dettagli riguardo le location e le date.

A livello umano è sicuramente un’esperienza che ti segna irrimediabilmente, nel bene e nel male. Rimani folgorato dalla forza e dalla dignità di queste persone che hanno perso tutto grazie ad una guerra civile orribile, eppure nonostante questo, hanno la voglia di continuare a sorridere.

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Come hai intenzione di sviluppare in futuro le tematiche che hai affrontato nel reportage dal Libano?

– Questo lavoro è completamente aperto a nuove implementazioni, e grazie alla collaborazione che ho cominciato con ONG come UNICEF e AVSI sono pronto a continuarlo in qualsiasi momento, potrebbe durare due,cinque o dieci anni ancora, la guerra crea enormi cicatrici e raccontare le storie di queste persone potrebbe richiedere moltissimo tempo, tutto dipende da che strada prenderà questo mio progetto. Sicuramente una delle mie idee è quella di andare in Siria una volta che la guerra sarà finita e vedere con i miei occhi quello che è stato il martirio di una nazione. Un po’ un tributo a Rossellini con “Germania anno zero” del ’48 o Gabriele Basilico con “Beirut 1991”.
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Secondo te cosa è diventata oggi, nel mondo della comunicazione condivisa, la fotografia?
– La fotografia rappresenta a mio avviso uno degli ultimissimi baluardi dell’informazione libera e autoriale sul quale possiamo fare affidamento. Anche qui non possiamo definirci al sicuro da millantatori e falsari ma con attenzione e cultura ci si può districare in questo ginepraio e cogliere le perle rare. Quei fotografi e quelle immagini che si contraddistinguono per carattere e personalità diventano così…immortali.
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Jean-Claude Chincherè ha 22 anni, determinazione e talento.
Ho la sensazione che sentiremo parlare a lungo di lui e delle sue foto.
Fabio Cappellini
329 3787110
mail@fabiocappellini.it

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