Intervista a Stefano Rodotà 24/05/2014 La Ragionevole follia dei Beni comuni.

Professor Rodotà, lo ha scelto lei il titolo della conferenza?

Si l’ho scelto io, rubandolo ad un mio amico, un grande studioso che si chiama Franco Cassano.
Franco Cassano Ha scritto un bellissimo libro intitolato  “Homo civicus, La ragionevole follia dei beni comuni” ( Dedalo, Bari, 2004 ).
Questo è un libro sulla cittadinanza da reinventare, una questione che riguarda tutto il mondo; ma allora perchè “ragionevole follia”? Questa domanda sembra quasi una contraddizione, un ossimoro, ma la risposta è: bisogna cambiare paradigma, punto di riferimento.
Noi abbiamo sempre puntato tutto sui beni che fossero o in mano pubblica (lo stato), o in mano dei privati secondo la logica della proprietà privata assoluta.

Per carità, non vengono meno ne i beni pubblici ne i beni privati ma dovremo tenere conto che non tutti hanno la stessa funzione e che quelli che soddisfano i diritti fondamentali delle persone non possono essere trattati come tutti gli altri.

Infatti oggi l’attenzione verso i beni comuni ha uno spettro di riferimento larghissimo, ma si concentra particolarmente su quei beni che sono funzionali alla soddisfazione dei bisogni fondamentali:
Certamente l’acqua e quindi anche fiumi, montagne, lidi marini…

Quindi anche tutto il contesto ecologico legato a quel bene?

Esatto e poi i beni che sono legati alla conoscenza.
La conoscenza in rete oggi è uno dei temi più forti per la discussione sui beni comuni; già anni fa Luciano Gallino (Sociologo, N.d.a.) aveva parlato della conoscenza in rete come di un bene pubblico globale, perchè è accessibile e può essere nella disponibilità di tutti, ma che non sempre è in questa condizione, anzi, ci sono tentativi che mirano a privatizzarlo: vuoi accedere a conoscenze in rete? Devi pagare.

Un altro esempio? I farmaci, devono essere sottoposti soltanto alla logica del brevetto? Oppure, come è avvenuto in India, o in Sudafrica è possibile un alternativa?
Ci sono stati tentativi (riusciti) di sottoporre alla logica del profitto beni che sono essenziali per la salute della persona.
Per esempio farmaci per malattie molto gravi che possono essere prodotti con pochi soldi, arrivano  alla vendita a cifre di 8-900 euro.
Per  avere un riferimento abbastanza significativo, la Corte Suprema Indiana si è trovata di fronte a questo problema: Le industrie di quel paese erano in grado di produrre un farmaco antitumorale importante a meno di 70 Dollari mentre invece Novartis, una delle industrie più importanti al mondo, di fatto uno dei padroni del globo,  le forniva a 270 Dollari.

Quindi tra il diritto alla salute delle persone ed il diritto al profitto giustificato da un brevetto internazionale, la corte suprema indiana ha fatto prevalere il primo. Questo è un esempio molto esplicativo di cosa vuol dire “bene comune”.  C’è stato un bel commento a questa sentenza: “Per fortuna l’India è rimasta la farmacia del mondo”.

L’India è un paese che si sta affrancando adesso, faticosamente, da una situazione di povertà che fino a pochi decenni fa sembrava cronicizzata. La nostra società  è legata a grandi industrie che riescono a influenzare anche pesantemente la politica grazie a prassi e regole vecchie di decenni, come possiamo dotarci di regole e strumenti giuridici che aiutino a realizzare questa nuova visione che pone al centro i diritti della persona, che francamente ad oggi è piuttosto utopistica?

Serve la ragionevole follia di cui parlavamo all’inizio. Noi abbiamo una grande tradizione costituzionale; adesso non voglio dire che tutti i diritti nascono in occidente, ma qui abbiamo una tradizione straordinaria in questo campo. Dobbiamo tener conto del fatto che  quello che fino a ieri chiamavamo  “Il sud del mondo” oggi ha un attenzione particolare ai bisogni materiali della persona. Se noi leggiamo le costituzioni dell’America latina, ma più che le costituzioni, le carte, le sentenze delle corti Brasiliane e del Sudafrica sui temi della salute ( per quanto riguarda l’AIDS o anche altre malattie che ormai noi consideriamo debellate o poco pericolose come il Morbillo o la malaria e che li invece sono pericolose cause di grande mortalità infantile in quei paesi) , vediamo che loro hanno introdotto norme nelle loro sentenze e costituzioni che definiscono questi principi in modo diverso. Principi che ora stanno emigrando anche dalle nostre parti.

Per esempio anche a Napoli , dove mancavano 300 insegnanti per le scuole dell’infanzia, si è detto : “vero ci sono i vincoli di bilancio, il patto di stabilità, pero’  di fronte a un diritto fondamentale come quello di dare istruzione a bambine e bambini, i vincoli di bilancio saltano e i soldi li dobbiamo trovare”.

Siamo in una fase storica  molto interessante e la discussione sui beni comuni è la punta più avanzata per aiutarci a cogliere questi nuovi aspetti.
Io capisco ma non giustifico, quella parte della cultura Italiana che non riesce a sintonizzarsi con questa novità.  Questo fatto è curioso perché l’Italia ha portato alle urne per un referendum sull’acqua  26 milioni di persone che hanno detto no alla privatizzazione dei servizi idrici, e questo fatto ha provocato discussioni che portano il nostro paese ad essere un punto di riferimento nel mondo, anche per la cultura che sta producendo su questo tema.
E’ uscito in Francia pochi giorni fa , un libro di oltre 500 pagine intitolato “Al comune”, che fa riferimento a questo tema Italiano con un attenzione che io vorrei ritrovare anche nel nostro paese.

 stefano rodota e fabio cappellini

stefano rodota e fabio cappellini

Non sarebbe stato opportuno tentare la strada dell’integrazione Europea partendo da questi temi, anziché cominciare da regole economiche che lasciano molti dubbi su quelli che sono gli interessi primari che si curano a Bruxelles?

Forse si. Ma c’è stata ad un certo punto un idea che ha preso campo e che seguiva la logica di un integrazione di tipo economico, Quindi si è detto: “Mettiamo questo tassello , piu’ forte degli altri, per impegnarci in futuro a cooperare”. Non è avvenuto, perché parallelamente è stato trascurato ciò che era accaduto un momento prima: in Europa nel 1999 era stato avviato un percorso che possiamo definire costituente, era stata preparata una carta dei diritti fondamentali, il trattato di Lisbona aveva valorizzato iniziative  che non erano solo quelle di “Mercato”, c’era la consapevolezza  che la pura logica di mercato non bastava.

Questo tipo di visione doveva integrarsi con la logica economica, ma non e’ avvenuto.
Io sono un maniaco dei Diritti, certo se si fosse partiti da li, l’integrazione sarebbe andata avanti,  logica dei mercati e logica dei diritti delle persone in modo parallelo, avrebbero portato a un risultato migliore.

Domani (25 Maggio 2014) si torna a votare per il parlamento Europeo, non crede che la disaffezione verso l’idea Europea potrà portare forze xenofobe o anche solo fortemente critiche nei confronti dell’Euro a Bruxelles?

C’è questo rischio. Io non sono un ottimista  di natura. Ma  credo che questo movimento antieuropeista che è nato anche da noi, che storicamente siamo il paese più Europeista di tutti, possa portare ad una discussione che dia uno shock benefico alla visione dell’unione.
Qualunque sarà il risultato delle urne e la forza che avrà la maggioranza, il nuovo parlamento europeo e il presidente della commissione dovranno mettere in agenda al primo punto, il recupero della fiducia dei cittadini verso l’Europa.

Nel nostro paese quanto ha giocato secondo lei , la perenne campagna elettorale che usa i temi europei in modo superficiale  e quanto la crisi mal gestita che trova un comodo capro espiatorio nell’ Europa dei mercati, piuttosto che nell’inerzia del nostro sistema politico?

L’Italia e gli altri paesi  sono responsabili di un deficit di legittimità, nel senso che i cittadini non si riconoscono più in questa idea di Europa. La legittimità si conquista con la fiducia e quando Bruxelles è sinonimo soltanto di arrivo di sacrifici e non di un valore aggiunto, era  logico che questa spirale di disaffezione si  sarebbe manifestata come si è manifestata in tutta Europa.  Era Fatale a causa di una politica inadeguata.

Naturalmente la situazione Italiana è diversa politicamente da quella degli altri paesi e non mi meraviglia che il tema Europeo sia stato utilizzato come momento di polemica elettorale. Lo è anche in altri paesi, ma da noi sicuramente lo è di più. Noi abbiamo avuto una politica economica che non e’ stata all’altezza della sfida Europea, nel senso  che ha accettato in pieno la logica dell’austerità che oggi non è solo contestata da studiosi, ma anche da politici.
C’è stato uno degli ultimi rapporti del parlamento Europeo prima della chiusura della legislatura, che è un atto di accusa nei confronti della politica comunitaria degli ultimi anni.

Attenzione, noi abbiamo fatto dei passi su cui non avevamo richieste da Bruxelles.
Tante volte diciamo: “Ce lo chiede l’Europa”, ma per esempio mettere il pareggio di bilancio nella Costituzione, pareggio che costituisce un vincolo costrittivo, non ce lo chiedeva l’Europa. Gli altri paesi non lo hanno fatto.

Quindi, oggi uno dei compiti è ripensare l’Europa da questo punto di vista,  perché i vincoli che sono nati da questa congiuntura sono sbagliati e sono stati posti pensando che l’unico rimedio alla crisi fosse l’austerità.

In definitiva, avere accettato le pure logiche finanziarie ieri, proietta un ombra sul futuro, quindi nel momento in cui noi riflettiamo seriamente sulle politiche degli ultimi anni, dobbiamo anche vedere le ricadute istituzionali che hanno prodotto, Fiscal Compact in primo luogo.
Queste politiche vanno assolutamente riviste, oggi noi abbiamo bisogno di una ripulitura istituzionale dell’Europa, altrimenti non ne veniamo fuori.

Cosa ci possiamo attendere quindi dal semestre di presidenza Italiano da questo punto di vista?

Il semestre di guida Italiano può essere una buona occasione, perché un paese come il nostro ha la possibilità  di diventareun punto di riferimento anche per altri che hanno subito, diciamo,  la nostra stessa sorte.
Ma non per schierare due Europe contrapposte, una Mediterranea  contro l’altra del Nord, ma per portare a piena consapevolezza comune i rischi che abbiamo corso, i disastri che sono stati fatti e la possibilità di uscirne insieme.
Questo mi pare il vero problema che si apre il 26 di Maggio.

So che lei è un innamorato della nostra costituzione; ma considerando  la prospettiva della maggiore attenzione al bene comune, quanto la nostra carta è pronta? Deve essere  riscritta o rivista? Carte più antiche come le costituzioni Americane e Francesi conseguenti a quelle rivoluzioni, avevano stabilito in articoli specifici che la riscrittura delle norme era legittimata dal fatto che nessuna generazione poteva arrogarsi il diritto di scrivere leggi immutabili,  valide anche per le generazioni successive.

Si , questo era scritto già nella carta dei diritti dell’ uomo e del cittadino del1789.
La costituzione Americana è complicatissima da modificare ,  a causa delle norme e procedure di garanzia che la tutelano. Io sono dell’idea che non bisogna correre, le costituzioni sono il patto che collega i cittadini. La nostra costituzione  ha retto benissimo all’impatto del tempo.
Pensiamo agli anni in cui il paese era ancora più diviso di oggi;  eppure è rimasto , non si è dissolto, certo anche per una comune memoria storica, ma c’è da dire che anche  quei partiti ideologicamente lontanissimi tra loro come Il partito comunista e la democrazia cristiana, erano consapevoli di aver redatto insieme la costituzione e che quindi non potevano disattenderne i principi.

C’era in quel tempo quello che si definiva “L’arco costituzionale” e chi stava li dentro sentiva il dovere di non operare rotture e di rispettarsi reciprocamente. Questo rispetto è sparito.
Detto questo io ritengo che quella che è stata definita “una buona manutenzione della costituzione”, debba essere effettuata. La seconda parte è indubbio che abbia mostrato dei logoramenti.  Quello che chiamiamo il Bicameralismo perfetto è un appesantimento e tuttavia questo non giustifica a mio avviso l’abbandono della democrazia rappresentativa.
Concentrare tutti i poteri nel governo, trasformando l’unica camera che sopravvive in una camera di ratifica, considerando le elezioni non un momento in cui i cittadini scelgono i loro rappresentanti, ma invece  il momento di un investitura  di un governo, provoca ragionevoli dubbi.

Quello da una democrazia rappresentativa ad una democrazia di investitura, è un passaggio che secondo me è molto rischioso.

Quindi la costituzione ha mantenuto una grande capacità di regolamentare la democrazia, e ancora oggi ci dice  quanto sia importante la possibilità di osservare  proposte di modifica attraverso la lente delle regole di garanzia che esistono.

Sentenze della corte costituzionale per esempio ci hanno liberato da una cattiva Legge elettorale, hanno tutelato i diritti dei lavoratori…. Ricordiamoci quella sentenza della corte che ha negato la possibilità di escludere i rappresentanti dei lavoratori dalla gestione degli organismi rappresentativi nelle imprese. Quindi la corte è un punto forte di resistenza e garanzia a tutela degli equilibri democratici.

Tuttavia  noi pensiamo che alcune modifiche sono necessarie e che  queste però vanno fatte seguendo le procedure previste nella costituzione, perché tutte le costituzioni democratiche prevedono equilibri che vanno tutelati. Quando noi ci domandiamo chi sia l’uomo più potente del mondo , pensiamo immediatamente al Presidente degli Stati Uniti. Tuttavia recentemente Obama si è trovato a dover chiedere al congresso di prendere decisioni perchè rischiava di dover dichiarare il default, rischiava di non poter pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici.
Ecco questo è il punto che noi dobbiamo sempre avere presente: in Democrazia ci deve essere un bilanciamento tra i vari poteri, nessuno deve poter sopraffare l’altro.

La nostra costituzione ha questa trama, aggiorniamola ma manteniamone la logica.

Stefano Rodotà

Stefano Rodotà

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