Intervista ad Erri De Luca

Erri De Luca foto di Fabio Cappellini

Maggio 2013

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Durante le tre giornate dei dialoghi sull’uomo, si sono svolte lezioni e conferenze scientifiche:

antropologia, statistica, economia, storia e anche sul viaggio che il cibo fa, prima di arrivare sulle

nostre tavole.

Di queste conferenze parleremo nel prossimo articolo.

Qui vorrei soffermarmi su tre momenti in cui si è creata una bella atmosfera tra chi parlava dal

palco e il pubblico che affollava la sala o il tendone, regalando momenti emozionanti e coinvolgenti

ai presenti.

Venerdì 24 maggio sul palco di Piazza del Duomo sono saliti il cantautore e scrittore Francesco

Guccini, e l’antropologo Marco Aime.

Guccini, nativo di Pavana, un paesino sull’appennino tra Pistoia e Bologna è amatissimo in questa

parte di Toscana, chiusa verso nord dalle montagne, che Guccini ha cantato nelle sue canzoni tante

volte, descrivendole nei libri gialli che ha scritto in coppia con Loriano Macchiavelli; storie

avvincenti di delitti e emigrazione.

Chi scrive ha vissuto il periodo dell’affrancamento dall’infanzia, del passaggio all’adolescenza,

attraverso un rito di iniziazione comune alla gente della mia generazione: il primo viaggio in

motorino.

I 50cc di quei trabiccoli, trasportavano a due per volta quattordicenni pieni di brufoli, verso bar alla

moda, dancing o come nel caso della mia primissima uscita “iniziatica”, ad un Concerto di Guccini.

Lui partecipava alle feste dell’unità o dell’associazione partigiani d’Italia, che si svolgevano in

borghi talmente piccoli, che l’onore della propria toponomastica riportata su di un cartello

metallico che ne sanciva l’esistenza, lo avevano ricevuto solo da pochi anni.

I concerti di Francesco: Un esperienza comune a molti cinquantenni presenti alla serata dei

dialoghi.

Ma la platea era gremita anche da giovanissimi, cresciuti con il mito della sinistra romantica, di cui

Francesco Guccini è un monumento vivente.

La serata, prendendo le mosse dalle domande di Aime, si è sviluppata seguendo la linea cronologica

data dagli anni di uscita dei dischi del cantautore, che grazie alla sua ironia, e esperienza di palco,

ha tenuto una lezione di storia contemporanea, assimilata dal pubblico con la stessa facilità con cui

si recepisce una canzone orecchiabile.

Guccini ha ribadito che non canterà più, dedicandosi esclusivamente alla letteratura.

Al “Piccolo Teatro Bolognini” un bell’incontro con Paolo Rumiz, editorialista di Repubblica e

scrittore, ha affrontato il tema del viaggio lento, quello fatto a piedi, e più che verso una meta fisica,

alla ricerca di se stessi attraverso la percezione dell’altro e dell’altrove che si ha solo camminando.

Lo stesso tema che doveva affrontare Erri De Luca nel suo incontro con il pubblico Pistoiese, ma

che poi ha preso un senso più mirato alle problematiche attuali del paese e dell’Europa, sia per la

vocazione dello scrittore ad affrontare, cercando di spiegarle, tematiche sociali complesse come

quelle dell’immigrazione, delle disparità sociali, dei peccati della società Italiana, sia per le

domande che dalla platea sono state poste nella parte finale della serata a De Luca.

Molti interventi del pubblico, hanno lasciato percepire il disagio della gente nel trovarsi

amministrati da politici che hanno trasformato il diritto fondamentale all’esistenza dignitosa e

all’educazione garantite dalla costituzione, in una sorta di mercato dei servizi pubblici, costoso e

spesso irraggiungibile da milioni di cittadini.

Erri De Luca nel suo intervento ha metaforizzato “ il viaggio a sei km orari”, l’andatura umana, in

un cammino di consapevolezza dei propri diritti di essere umano prima, di cittadino o ospite di un

paese poi.

Un paese, nel nostro caso, che di fatto applica le proprie leggi solo per fare cassa, per perpetuare il

proprio apparato piramidale.

Uno stato che assorbe risorse e non produce più servizi per cui i cittadini hanno pagato, lavorato e

lottato.

Difficile etichettare politicamente un intervento del genere, visto che a mio parere si è trattato

semplicemente di una spiegazione razionale fatta da un uomo dotato di una straordinaria capacità di

sintesi e di strumenti linguistici eccezionali, su quello che gli Italiani avvertono ma non sanno

spiegarsi, divisi come sono in mille sfumature ideologiche, in mille particolarismi economici e

culturali.

Una volta, fin dalle scuole elementari, in Italia si insegnava una materia che si chiamava

“Educazione Civica”.

Ecco, Erri De Luca, ha fatto Educazione civica, ed educare a diritti e doveri i cittadini può, in questi

anni, essere quasi ritenuto sovversivo dell’ordine.

In effetti è invece quel genere di educazione che sovvertirebbe il disordine di cui questo paese è

schiavo.

Poco prima della sua lezione ho avuto con De Luca questo colloquio, che riporto integralmente.

Signor De Luca, la rivista su cui verrà pubblicata questa intervista è di Tirana, so che suo

padre durante la guerra ha combattuto in Albania….

Mio padre non ha raccontato quasi niente, di quel tempo dannato della sua vita, ha solamente riportato una certa intimità, confidenza e gratitudine verso le montagne, e quello mi è arrivato, sono stato raggiunto da questa passione.

Il camoscio nel “Il peso della farfalla”… Eh si, poi dopo sono diventato scalatore, ho bazzicato alpinisti e bracconieri. Perché appunto ho l’età, sono coetaneo degli ultimi di questa antica stirpe di procacciatori di cibo. Il bracconiere è la figura nobile del cacciatore. Il cacciatore con la licenza invece è solo un tiratore scelto, che si esercita al bersaglio sull’animale selvatico.

Il suo intervento a “Dialoghi sull’uomo” affronterà il tema della migrazione, del viaggio per

la vita, quello che la vita porta ad intraprendere per recuperare la propria dignità e la

speranza nel futuro. La necessità sposta le culture , le sovrappone e spesso inconsapevolmente

le spinge ad evolversi, a rinnovarsi….

Le culture spesso rifiutano questi nuovi flussi, ma le economie li assorbono. Semplicemente perché

queste migrazioni non dipendono dalla cultura ma dal mercato del lavoro, quindi dove esiste la

possibilità che il mercato del lavoro assorba mano d’opera, richiedendola , questi viaggi

avvengono.

In questo momento da noi ce ne sono di meno, di questi viaggi.

Anzi, dalle mie parti (Campania, n.d.a.), sento di persone che stanno rifluendo verso i loro luoghi di

origine. Comunque che le culture si adeguino o no, i viaggi sono indipendenti da questo, poi le

culture arrivano a farsene una ragione.

D’altra parte, noi siamo in una posizione geografica che ha ricevuto la storia attraverso la geografia.

Attraverso il continuo travaso di popoli: Migrazioni , invasioni, fughe.

Noi siamo un concentrato da sempre di sbarchi.

La sua conferenza ha come titolo “Viaggiare a sei km all’ora”, lei ha mai fatto un viaggio di

questo tipo?

Sei kilometri all’ora è la velocità dell’andatura umana, magari abbastanza sostenuta, è quindi

l’andatura del nostro viaggio sul piano.

In salita di kilometri ne facciamo un po’ meno, in discesa come si dice, vanno avanti pure i sassi.

Personalmente ho conosciuto la differenza abissale che c’è tra un viaggio compiuto a venti

kilometri orari e uno compiuto a quaranta. Sono due tipi di strade completamente diverse, nel primo

caso sei su una strada sfondata da buche, colpi di cannone, squarci.

Diventi un prestigiatore del volante, anche perché stai portando un carico e devi usare ogni cautela

perché questo arrivi integro.

Ha fatto il camionistà?

Ho fatto il guidatore di convogli di aiuti e quindi ho conosciuto, anche in Albania, dove sono

transitato durante la guerra del kossovo per i miei amici cattolici che spedivano aiuti, le difficoltà di

questi viaggi da venti kilometri all’ora.

Invece su di una pista battuta da quaranta kilometri all’ora è molto più rilassante, devi stare molto

meno attento, usi meno sterzo, fai molta meno fatica.

I viaggi che ho fatto con i camion li ho fatti tutti nella Bosnia tra il 1993 e il 1997.

Il viaggio che ha lasciato più tracce in lei?

Il primo di questi viaggi, appunto. Si è sgomenti, sguarniti di avvisi o di preparazione, è avventura.

Succede così anche al primo giorno di carcere, ecco, uguale… poi gli altri si ammucchiano l’uno

sull’altro e si finisce per non farci più caso.

E’ stato in carcere? Qui in Italia ?

Come molti di quelli che ci sono passati, brevemente.

La prima volta, il primo giorno, ha un bell’impatto, poi tutto assume il connotato della normalità.

Il suo impegno politico quanto ha influenzato il suo modo di fare letteratura?

Io non ho un impegno politico, io sono uno che ogni tanto si prende degli impegni. Perché le cose ti

finiscono sotto il naso, ti scuotono i sensi, e allora non si può, o almeno io non posso fare finta di

niente, o passarci sopra. Quindi certi impegni che prendo sono per cose che mi costringono alla

presenza.

In questo momento in Italia stiamo vivendo una profonda crisi, sia economica, sia politica.

Pensa che stia cambiando qualcosa o siamo sempre i soliti Italiani che discutono nei bar per

poi tornarsene a casa?

Siamo sempre gli stessi Italiani ma ci troviamo in un periodo febbrile e di trasformazioni e quindi è

un periodo fertile questo, specialmente ai piani bassi, quelli della gente.

Perché ai piani alti non è tanto importante quello che combinano, verranno al seguito, seguiranno…

Diceva Napoleone: “ Vanno avanti gli eserciti, e l’intendenza seguirà”.

La gente è “disturbata” da questo impoverimento, non c’è abituata, questo potrà essere utile al

cambiamento.

Fabio Cappellini

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